

41
n. 58 - Dicembre 2017
si vivrà meglio di come si sta vivendo al momento, almeno si spera. Per cui può succedere a molti
che si viva in attesa di andare in pensione. Vivere in attesa è quello che questa poesia, insieme ad
altri aspetti della vita di un villaggio, mostra chiaramente. È ovvio che un poeta non sta a dare delle
soluzioni: è già tanto se vede i problemi e li mostra in forma poetica, cioè viva. Comunque nessuno
ha la soluzione ultima.
In una scuola zen si prova a farne vedere alcune affinché ognuno le possa adottare se ritiene che
vadano bene per sé. Insomma, il poeta mostra chiaramente che si vive in attesa del giorno di festa,
ma in una scuola zen, ovvero buddista, è chiara la seconda nobile verità enunciata dal Buddha,
che evidenzia come la sofferenza sia causata dall’attaccamento a qualcosa che è impermanente. E
cosa è più impermanente di credere che con la pensione si sarà più felici, come si sarà più felici la
domenica aspettata dal sabato? Se si riesce a realizzare che non c’è altro da vivere che l’adesso che
si sta vivendo, si sarà in grado di godersi lo stato soave e la stagione lieta come scritto nella seconda
parte della poesia del koan. Però, e questo è il punto fondamentale, in che maniera si può godere
lo stato soave e la stagione lieta? Chi viene a praticare in questo luogo, chi si dedica a una pratica di
risveglio all’assoluto proprio questo fa.
Imparando a praticare per il praticare senza aspettarsi alcunché. Praticando senza aspettative si
scopre che tutto viene da sé e si riesce, sia applicandosi alla meditazione che alla risoluzione dei
koan, a comportarsi liberamente rendendo il luogo in cui si è il luogo giusto in cui stare, e il momento
in cui si vive, il momento giusto in cui vivere. In questo modo non si vive nell’aspettativa di essere in
un altro luogo, di avere un altro momento da vivere. Ciò che si sta vivendo in questo istante è il mo-
mento reale in cui vivere e al di fuori di questo non c’è altro. Se si riesce a entrare in questo momento
si saprà anche rispondere a Leopardi, il quale vedeva l’esistenza in maniera deterministica, non
risolutiva come la visione del Buddha.