Shiatsu News 67 - dicembre 2021

di parlare del poeta, ché una premessa così in questi teisho non c’è mai. Però ci voleva perché già nella poesia si rivela subito la sua inclinazione non ortodossa prendendosela con Bodhidharma, il riverito patriarca arrivato dall’India a portare lo zen in Cina, affermando che non c’è alcun merito a starsene per nove anni a fissare un muro a Shaolin. È vero che i maestri zen hanno sempre un atteggiamento un po’ dispregiativo nei confronti di coloro che rispettano, però Ikkyu si può permettere queste parole proprio perché è un maestro zen. Chi è avanti nei koan ha ormai incontrato più volte l’ironia che si sprigiona da certe frasi dei maestri della tradizione. Ikkyu però, scrivendo che monti e fiumi gli facevano un baffo mostra rispetto per la sua inamovibilità. Nella penultima parte entra nella dottrina affermando che non c’è alcun significato nella venuta del patriarca e in fine, alla maniera giapponese, riporta tutto sulla quotidianità della natura con la primavera che piove e l’autunno con la sua fresca brezza. In fondo, nulla è cambiato: piove in primavera è fresco in autunno. Allora il grande maestro perché ha fatto il suo lungo viaggio dall’India alla Cina? La poesia di commento, così immediata perché scritta pochi minuti prima di entrare nello zendo, non contrasta con quanto afferma Ikkyu. Noi sappiamo bene che le azioni che si compiono devono essere giuste in sé senza che da esse ci si debba aspettare qualche ricompensa per andare in paradiso o migliorare il karma. Non cercando il guadagno va da sé che non ci sia alcunché da misurare. Non credo che Bodhidharma s’aspettasse di avere dei meriti restando seduto nove anni nella caverna: gli andava di starci e c’è stato. Perché scali le montagne? Perché stanno lì! E concludendo, la poesia di commento si lascia andare a un giudizio affermando che a stare seduti nello zendo non è male, in fondo ci si prova gusto. Avrei potuto scrivere meglio, ma anche così mi pare che riesca a dire che pur non essendoci merito nel sedere nello zendo, chi ci sta si gode lo starci. Vuol dire che a noi piace stare seduti qua. Perché se in ciò che noi facciamo sentiamo di stare a posto, ovvero di stare facendo proprio quello che ci va di fare, chi può dire qualcosa? Spesso di sente ripetere che viviamo in tempi difficili e confusi in cui è difficile sentirsi a posto, ma i tempi dell’uomo sono sempre stati difficili e confusi. Difficile e confuso è l’uomo stesso, in qualunque epoca. E uno, seduto in una caverna o in uno zendo si sente a posto? Magari non c’è merito, ma se a quello del merito non interessa e gli basta stare bene? Abbiamo dei koan che trattano il viaggio di Bodhidharma dall’India alla Cina, sono già stati trattati nei teisho. Ai maestri viene chiesto quale fosse lo scopo di Bodhidharma di andare fino in Cina e i maestri hanno sempre risposto in modo strampalato. Bodhidharma va a dire ai cinesi che la natura di Buddha è intrinseca in ogni essere umano, ma se è intrinseca in ogni essere, chiunque lo dovrebbe sapere da sé senza il bisogno di sentirselo dire da Bodhidharma. A Doghen, quando tornò dal suo soggiorno nei monasteri cinesi chiesero com’era andata ed egli rispose che i cinesi hanno gli occhi orizzontali e il naso verticale. Più ovvio di così! Sulla contraddizione del viaggio di Bodhidharma e di conseguenza su quella di Joshu che risponde che il cane non ha la natura di Buddha, s’è scritto e s’è discusso molto, ovvio. Come al solito, quando si entra nel mondo della realizzazione le chiacchiere stanno a zero, eppure noi siamo ancora qui a occuparci di Bodhidharma, del suo unico discepolo e del suo contraddittorio viaggio. Proprio perché le chiacchiere stanno a zero per andare oltre le chiacchiere e vedere ognuno da sé quanto c’è realmente da vedere, stiamo seduti in silenzio, non davanti a un muro ma davanti ai compagni di pratica. È vero che non c’è merito ma perché cercare il merito se si sta facendo qualcosa con gusto? Il mio primo scritto sullo zen è sull’andare in montagna senza scopo, per il solo gusto di andarci. Questo nel 1965 e ancora siamo qui a dire le stesse cose: quando cammino sono il camminare, quando arrampico l’arrampicare e così tutto il resto. In quell’istante sono già nell’eterno, cos’altro dovrei andare a meritarmi? È sicuro che qualcuno scrive su feisbuc che sta a fare zazen, come ce ne sono che appena fatta una scalata, per quanto riguarda le scalate, ne scrive appena scende. Sono affari loro se godono nel cercare una notorietà. Invece, a stare seduti nella caverna come nello zendo non c’è merito e non lo sa nessuno eppure si sta bene. I NUOV I KOAN 47 f il rouge Shiatsu news n. 67 - Dicembre 2021 Ètratta da un libro nel quale sono raccolte molte delle poesie di Ikkyu, tutte così brevi ed essenziali. A me piacciono così e credo che in poche righe si possa dire quasi tutto. Siccome proprio tutto non lo si può dire, è corretto dire quasi. Infatti le poesie che si scrivono a Scaramuccia devono essere di dieci righe. Dalle tante poesie contenute nel libro si capisce immediatamente il carattere di questo maestro giapponese del 1400 che noi abbiamo conosciuto soprattutto per mezzo del bel manga di Sakaguci. È vissuto nel momento più travagliato del Giappone, che trovò la sua pace solo nel 1600 con l’inizio dell’era Tokugawa pure detta epoca Edo, dal nome antico di Tokyo. Da ragazzino Ikkyu è costretto a vivere in un monastero zen per liberarsi di uno scomodo aspirante al trono, visto che era figlio di una delle favorite del tenno. S’è fatto tutta la trafila da monaco, il satori, ha avuto dei discepoli e diventa suo malgrado abate di un grande monastero, il Daitokuji, quello fondato da Daito kokushi del quale abbiamo appena letto le ammonizioni. Lo lasciò abbastanza presto continuando la sua esistenza povera ed itinerante, da ubriacone, da frequentatore di prostitute, attraversando così un paese in continua guerra. Ikkyu è il rappresentante della religiosità senza la religione. Leggendo i quattro volumi della sua storia nel manga di Sakaguci si vede chiaramente la differenza fra Ikkyu e coloro invece legati all’apparato religioso. Ikkyu è libero di seguire o no delle pratiche, di avere o non avere dei discepoli, di stare in un posto oppure attraversare il Giappone: libero e impeccabile. Quasi tutti i monaci di quel tempo, per pigrizia o per convenienza preferivano seguire la carriera ecclesiastica sperando di avere un tempio ricco con tanti fedeli. Circa duecento anni prima, Daito kokushi nei suoi avvertimenti diffidava i discepoli dall’aver dei templi con grandi sale e libri decorati in oro e argento... Finisco

RkJQdWJsaXNoZXIy ODk0MDk=