Shiatsu News 67 - dicembre 2021

LO SH I ATSU COME AGENTE D I CAMBI AMENTO 29 Shiatsu news n. 67 - Dicembre 2021 sfiducia generalizzata nelle “autorità” sociali e istituzionali, degli “odiatori anonimi seriali” (i famosi “leoni della tastiera”). Sul piano della salute, e in particolare della salute mentale, abbiamo la diffusione di massa dello stress per una vita competitiva, veloce, iperstimolata. Nella fascia giovanile (e non solo) si diffonde una cultura dello sballo, del rave (entusiasmo, delirio), dell’eccesso, della dionisiaca perdita di controllo, del “fare esperienze” sempre più spinte, peraltro sostenute dai più seguiti gruppi musicali e brand di tendenza. Solo fasce limitate di persone sanno scegliere stili di vita più riflessivi, dolci, ecologici uscendo dai miti della società ipermoderna e ipertecnologica che sembra l’unica possibile. Senza contare che l’altra faccia della medaglia del narcisismo individualistico è quella della fragilità, insicurezza, senso di inadeguatezza rispetto ai modelli vincenti esaltati dai media, che porta, in molte situazioni, a stati di confusione interiore, bassa autostima, depressione da confronto con i vincenti. Passando alla fase di rapida e improvvisa diffusione del Coronavirus, saltando tutti i confini nazionali e continentali, la percezione diffusa è stata quella di un brusco risveglio: la grande potenza tecnologica della società ipermoderna non è stata in grado di preservare dalla vulnerabilità diffusa. La percezione di fragilità è anzi diventata un vissuto collettivo, con pesanti riscontri sulla vicenda individuale: ognuno ha dovuto fare i conti con l’incertezza, la precarietà, la paura. Molti sono stati colpiti direttamente o attraverso le persone a cui erano legate. In ogni caso, la vita di ciascuno è stata pesantemente travolta e modificata. La libertà senza limiti e responsabilità della fase precedente è diventata necessariamente condizionata dalle regole sociali, dalla reciprocità con l’altro, dalle istituzioni. L’individuo costretto in uno spazio separato ha sentito il bisogno dell’altro, ha cominciato ad avvertire che la sua mancanza lo indebolisce, che vi è bisogno di aggregarsi, di fare gruppo e comunità. Si è sentito il bisogno delle istituzioni regolatrici e promotrici della vita sociale come lo stato, la sanità, il welfare, la scuola. Le varie “ricadute” hanno fatto toccare con mano che i comportamenti individuali irresponsabili giocavano grandemente sul vissuto e sull’economia collettiva. Ciò è stato vero anche sul piano informativo in quanto la pluralità di pareri e voci, talvolta competenti ma spesso semplicemente polemiche e fini a se stesse, ha generato una situazione di ulteriore confusione e incertezza che andava moltiplicandosi. La fase delle vaccinazioni di massa ha cambiato in parte lo scenario in quanto vi è stata una ripresa relativa e parziale delle capacità di controllo, una sorta di gara fra il virus (capace di mutazioni tattiche) e le varie tipologie di vaccini, che tuttavia, a loro volta, hanno manifestato anche effetti collaterali, limitati sul piano statistico, ma esaltati dalla comunicazione mediatica che li ha portati al centro dell’attenzione! Quindi si è creata una doppia incertezza: quella della diffusione delle varie versioni del virus che parzialmente annullavano i benefici del vaccino (si pensi anche a luoghi che erano stati all’avanguardia in termini di tempestività della vaccinazione come Israele e Inghilterra) e quella delle varie tipologie di sistemi vaccinali, ulteriormente esaltata dalle necessarie decisioni amministrative relative al green pass per accedere alle sedi di incontro e collettive che hanno involontariamente fomentato paure di scenari distopici e di controllo sociale occulto. Sul piano della salute, e in particolare della salute mentale, si è vissuto uno stress diverso da quello della società globalizzata: prima era dato dalle sfide del mondo sociale che diventava liquido e vorticoso, competitivo ma invitante, incerto ma edonistico; nella fase di lockdown invece è stato necessario adattarsi alla lentezza, alla chiusura in stretti confini, alla forte limitazione dell’attivismo. Si è dovuto quindi fare i conti con il proprio corpo, le proprie paure, il proprio mondo interiore che si è mostrato inquieto, pieno di incertezze, non abituato ad interrogarsi e meno ancora a darsi un ordine, delle regole, delle prospettive. Successivamente vi è stato il prolungarsi del timore, della tensione, della paura - con molti alti e bassi – è quindi l’innescarsi di uno sforzo prolungato, di una “pandemic fatique” , come è stata chiamata, che richiedeva autocontrollo, impegno, ma che è talvolta sfociata in forme ossessive, fobiche, igienistiche, di preservazione della propria bolla vitale, di chiusura autoreferenziale, mantenendo distanze non solo fisiche ma sociali e comunicative rispetto al mondo e agli altri. La percezione prolungata di ansia è diventata in alcuni angoscia sfociando, in taluni casi, in depressione, ma anche in paura di ricominciare, di tornare ad impegnarsi e progettare. In altri casi ci si è buttati allo sbaraglio in modo imprudente cessando di colpo le misure di prevenzione consigliate. In altri ancora, come vediamo dalla cronaca, vi è chi sfoga le proprie pulsioni con l’aggressività, la rabbia, la sopraffazione (fenomeni delle bande giovanili, ma anche dei rapporti dentro le convivenze, del “complottismo” diffuso, dell’odio social). Accanto a questi comportamenti di crisi e distruttivi bisognerebbe tuttavia saper guardare alle risorse di resistenza e resilienza che si sono spese da parte di tanti e che dovrebbero ora diventare “esperienza”, consapevolezza, capacità di affrontare le difficoltà della vita. È straordinario che in questo momento tanti atleti – anche con disabilità - abbiano mostrato una capacità di adattamento e rigenerazione straordinaria che pochi avevano previsto! Al contempo vi sono tanti che avvertono nuovi bisogni di socializzazione, di ritrovare modalità di cura ed espressione di sé, di ricostruire legami significativi. Dunque abbiamo due fronti di attenzione e di possibile impegno: uno quello della persona che chiede aiuto manifestando dei sintomi psicosomatici: in questo caso ci pos-

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