Shiatsu News 59 - marzo 2018

43 n. 59 - Marzo 2018 Certo, per alcuni siamo nati per soffrire e perciò stiamo soli e disperati, e anche se ogni tanto c’è un raggio di Sole esso scompare subito nel freddo e nella mor- te. È indubbio che Quasimodo, come altri poeti, sia stato influenzato dalla cultura in cui tutti siamo cresciuti, quella che dà per scontato che si sia nati per soffrire e che la felicità ci sarà soltanto dopo la morte, nel momento in cui, se ce lo sa- remo meritato, accederemo al paradi- so. Purtroppo è raro che un poeta che abbia avuto la ventura di incontrare le parole del Buddha e potuto realizzare che la sofferenza è sì insita nell’essere umano come in tutte le cose del mondo relativo, ma proprio per uscirne stiamo a giocare sul cuor della Terra. Infatti mi piace Montale non perché credo che sia buddista ma perché egli riesce a vede- re con distacco il mondo e non lasciarsi prendere: “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro infor- me,...non chiederci la formula che mon- do possa aprirti...” . Non pontifica, è pieno di dubbi, azzar- da qualche ipotesi, ma tutto finisce lì e nello stesso tempo rivela la condizione umana più di quanto lo facciano le frasi a effetto. Ricordo la frase di un famoso alpinista degli anni ‘30 tenuta in grande considerazione in una scuola di alpini- smo di Torino: “Osa, osa sempre e sarai simile a un Dio” . Come si può dire certe cose in età matura? E l’altra famosa di Che Guevara, credo: “Non indietreggiare mai, nemmeno per prendere la rincorsa”. E perché uno non dovrebbe avere ripensamenti e magari evitare di fare stupidaggini? Tornando a Quasimodo, nella nostra scuola abbia- mo la risposta alla sua considerazione, e cioè basta essere uno col mondo, non si è più soli e non c’è più sera né giorno. Eccolo il respiro che riesce a farci esse- re uno col mondo. Nella mia esperien- za con i carcerati di Orvieto insisto ogni volta, durante la seduta di rilassamento, sia all’inizio come alla fine delle posizio- ni, sulla immedesimazione nel respiro. Sentirsi uno col respiro del mondo significa uscire da qua- lunque prigione, da qualunque isolamento e nello stesso tempo realizzare una condizione che attira i raggi del Sole che di tanto in tanto ci passano avanti. Da una tale condizione si può apprezzare il proprio pas- saggio sulla Terra senza paura che il giorno finisca, per- ché si è certi che da una fine ci sarà un altro principio. Questo per la relatività in cui viviamo tutti, ma ancora di più, l’immedesimazione nel respiro permette di realizzare l’assolutezza della nostra condizione, la nostra buddità, quella condizione che non ci mette paura della solitudi- ne, della mancanza dei raggi di Sole e della venuta della sera. Come ho detto ormai altre volte, ma giova ripeter- lo, lo spunto che prendo per i commenti di queste poesie non ha lo scopo di criticare i poeti. Io voglio far risaltare le loro visioni e con esse mostrare come le parole da sole non siano sufficienti per farci vi- vere impeccabili. L’impeccabilità non viene dalla conoscenza e dall’utilizzo delle parole, ma viene dalla capacità di saper realizzare le condizioni che esse prospettano. E soprattutto saper vedere come esse possano ingannare con la loro enfasi e la loro ridondanza. La nostra scuola non rifiuta la parola, anzi, lo studio del koan dà agio di arrivare alla reale comprensione e utilizzo delle parole e per mezzo delle parole saper essere nel- le situazioni con padronanza. Perciò, attenti alle parole: sono armi subdole, come i gas nervini. Si infilano in noi, si fanno accettare pensando di star ascoltando chissà qua- le grande profeta e invece a guardare bene sono solo delle banalità. Come quelli che scrivono gli haiku: “la luce della Luna ac- carezza il cuore di chi va a sanzen”. Bella frase vero? Ma si potrebbe cambiare in: “Andare a sanzen è una carez- za come la Luna che brilla stanotte”.... . Se ne potrebbero scrivere a milioni, col computer magari, mischiandole in continuazione. Attenti, come nelle calligrafie dei grandi maestri ci vuole un occhio da raggi x per vedere se una calligrafia proviene dal satori o dalla tecnica. È impecca- bile chi sa guardare con un tale sguardo. “

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