Shiatsu News 59 - marzo 2018
16 n. 59 - Marzo 2018 shiatsu e. . . ci si relaziona con una articolazione che pre- senta dolenzie e rigidità, e conclusa l’azione prefissata, si prosegue nel flusso del tratta- mento e si percepisce un cambiamento im- portante in una porzione del corpo distale e distante dall’articolazione. Il sistema Uomo ha risposto allo stimolo producendo un cam- biamento non percepibile sul piano fisico e neppure funzionale, è il piano relazionale e dei mutamenti, che le stesse scuole chiama- no Shen 神 . È evidente, e l’operatore ha fatto esperien- za di questo, che noi diveniamo strumento polivalente, capace sempre più di percepire i cambiamenti del ricevente, e le modifica- zioni percettive che avvengono su noi stessi. È una trappola, lasciatemelo dire, una dolce esca dalla quale ci siamo fatti attrarre, per iniziare un percorso di lavoro e di presa in carico di noi stessi. Lo Shiatsu ed il suo per- corso, che i giapponesi ed i buddhisti spesso chiamano la pratica del non-due 不二 (fu ni) , porta sempre più alla focalizzazione di se stessi, in rapporto con tutto ciò che sta fuori da noi. L’operatore ha il dovere ed il compi- to di lavorare su se stesso per meglio e più chiaramente procedere nel percorso che ha scelto. La riterrei condizione sine qua non. Lo si fa in molti modi, attraverso approfon- dimenti legati alla tecnica (jing), agli affi- namenti percettivi scoprendo sistemi ener- getici complementari (qi), e molto spesso approcciando a quella invisibile tela di fon- do legata alle filosofie di pensiero estremo orientali che tanto affascinano (shen). Molto interessante, molto bello tutto questo, però, poi, dopo un volo pindarico ci si ritrova sul tatami con pensieri o metodiche che non abbiamo ancora digerito e fatto nostre, e come si fa? Come possiamo integrarle? Se- guiamo il pensiero che non ha preso ancora possesso del nostro corpo e indugiamo nel contatto, o affidiamo alla conoscenza delle nostre mani il sentire del momento? Il la- voro su se stessi è proprio rivolto a questo, anche a questo, risposta che evince la que- stione che in un percorso esiste un momen- to circoscritto legato alla realtà, che non può essere scisso dal percorso fatto (passato) e da quello che faremo (futuro); essere quello che si è, diverso da quello che si sa, nella presenza fragrante e completa del momen- to che si sta vivendo, lasciando che le cose accadano nel divenire delle relazioni. Cono- scere i percorsi significa saper scegliere la via più idonea o più adatta al momento, che a volte non è ne la più breve ne la più imme- diata, questa si chiama esperienza e saper fare. Non posso esimermi dal citare un testo classico che descrive in maniera sincretica il pen- siero che ho espresso, il Tao Te King ( 道德經 dàodéjīng) al capitolo 11, che così si esprime: Trenta raggi si congiungono ad un mozzo unico Questo vuoto del mozzo permette l’uso Con una zolla d’argilla si dà forma ad un vaso Questo vuoto del vaso permette l’uso Si dispongono porte e finestre per una stanza Questo vuoto della stanza permette l’uso L’avere permette il vantaggio Il non avere permette l’uso
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