Shiatsu News 45 settembre - ottobre 2014

n. 45 - Settembre 2014 NEWS 26 CASO N° 2 to, c’è quello che volendo capi- re il buddismo si mette a leggere i libri che trattano del buddismo. Per quanto riguarda la storia e la filosofia dell’insegnamento del Buddha può andare bene. Ma il buddismo è illuminazione e l’il- luminazione è dovunque: l’as- soluto si esprime in qualunque granello di sabbia. Montale in questa poesia assomiglia al Bud- dha e a tutti coloro che hanno compreso l’inutilità di correre ed agitarsi e si sono fermati a medi- tare. Quando noi ci siamo accor- ti dell’esca e dell’amo e abbiamo voluto attingere a qualcosa che non fossero soltanto i seppur va- sti acquari nei quali sguazzava- mo, abbiamo seguito l’insegna- mento del Buddha. Non so cosa abbia fatto Montale, ma noi ab- I n questa poesia è chiaro un evi- dente riferimento al Buddha, il quale passò dalla condizio- ne di vedere un orizzonte scon- finato in cui tutto era a disposi- zione, a quella ristretta e paurosa di fronte al malato, al vecchio e al morto. S’accorse cioè dell’esca e dell’amo a cui abboccano tutti gli esseri. Se noi siamo qui, cioè siamo diventati suoi discepoli, è perché egli si risvegliò all’illumi- nazione per mantenere la visione sconfinata. La visione sconfinata si spalanca a chi accede all’asso- luto. A questa poesia si può ag- giungere quella dell’”Anno della lepre” , scritta in dicembre prima di scegliere questo koan. In essa c’è il correre, che sarebbe agitar- si senza guardarsi intorno, ovve- ro senza il sospetto della lenza e dell’amo, e accorgersi che un al- tro anno è bruciato e di conse- guenza l’orizzonte s’è ristretto. Noi abbiamo avuto la ventura d’incontrare i tre gioielli, ovvero Buddha, Dharma e Sangha, di- ventando uno col respiro possia- mo accedere all’inesistenza pur essendo viventi, ovvero illumi- nati. Quando Montale ha scrit- to questa poesia non so a cosa pensava realmente, inoltre pre- ferisco non leggere i commen- ti e le spiegazioni delle poesie. Il suo scritto è chiaro e ognuno può trarne il significato che vuo- le. Chi fa il poeta, se lo fa bene la- scia che le poesie si scrivano da sé, come ripeteva spesso il ma- estro Mumon, non si preoccu- pa di quello che succede alle sue poesie. Ed è ovvio, ma è una ba- nalità, che chi le legge capisce solo quel che può capire. Pertan- to, lette in un luogo di zen, sarà estratta la comprensione che si adatta alla nostra pratica, perché la comprensione dell’assoluto è a portata di mano in ogni mo- mento della quotidianità. Cer- biamo messo insieme l’insegna- mento del Buddha e l’esisten- za quotidiana e siamo riusciti, come è nella poesia di questo anno, a fermarci e fare l’espe- rienza di respirare l’eterno. Bi- sogna però stare attenti, perché è vero che molti poeti, scrittori, saggisti e alcuni sportivi hanno intuizioni e squarci di illumina- zione, ma quanto contraddistin- gue una tradizione plurimillena- ria come la nostra, è che quando si ha uno squarcio d’illumina- zione si sa poi riprodurla. Inve- ce Montale parla al condizionale scrivendo che la felicità sareb- be assaporare l’inesistenza pur essendo viventi. Pensa che sia così, ma come si fa ad assapora- re l’inesistenza? Quante volte in questa scuola si chiede di porta-

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