Shiatsu News 41 settembre 2013
27 KOAN luminazione le cose se le vede da sé. Se invece non si riesce si rimane intrappolati dal crede- re al karma o a Dio che deci- de tutto. Ma allora non avrebbe senso continuare l’esistenza: se è il karma, nessuno può sapere cosa è avvenuto nelle esistenze passate, e le conseguenze che ne derivano; se invece dipende da Dio cosa resta da fare? Le ri- sposte contraddittorie del mae- stro servono a liberarsi da am- bedue queste credenze. Perché qualunque tipo di attaccamen- to fa vivere nella confusione, incapaci di scegliere, momen- to per momento, quanto la vita presenta. Non è vero che il maestro, nella sua risposta, renda complicata la semplicità. Egli rende sem- plici le complicazioni, spazzan- do la credenza in Dio come nel karma, affinché ciascuno pos- sa semplicemente viversi l’esi- stenza così come è. Se si è im- medesimati nel presente non si pensa a Dio e nemmeno al kar- ma, e si scorre insieme alla vita. Altrimenti, si rimane fermi al non si muove foglia che Dio non voglia e qualunque cosa si fac- cia si starà sempre aspettando quel che Dio vuole. Nemmeno si può ogni volta tirare in aria una monetina per decidere la propria sorte. Ci sono delle volte che si deci- de qualche faccenda con la mo- netina, ma normalmente si do- vrebbe agire in base a ciò che si sente in quel momento, senza recriminare su quanto si sareb- be potuto fare o non fare. C’è solo da imparare a vivere ogni istante, momento per momen- to, perché svanisca qualunque attaccamento alla credenza in Dio o nel karma. Domanda Maestro, quanto è importante al- fine di godersi la vita di portare la completa attenzione in ogni attivi- tà della nostra giornata? E se lo è, fino a che punto dobbiamo sforzar- ci di essere presenti a noi stessi? Intanto, esercitare la retta pre- senza fa vivere momento per momento. A un certo punto, di- ventati bravi, si potrà decidere di lasciare la presa. Ma si può arrivare a una presenza menta- le in cui non c’è tensione, e ciò avviene da sé. Poi, come succe- de per chi è a dieta ed è tran- quillo e rilassato, si può dire: “Questa sera mi bevo una bir- ra o un bicchiere di vino, op- pure mangio un gelato”. L’im- portante è non essere contratti e attaccati a ciò che si sta facen- do, con la paura di perdere la presenza mentale. La presenza mentale va goduta, perché bi- sogna starci con gusto. Come ho detto tante volte, la medi- tazione, non deve essere come quando da bambini si andava a messa per forza. E così le pre- ghiere della sera senza averne voglia. Se la sera adesso reci- tiamo: “Per l’accettazione, per la solidarietà, per la sincerità, eccetera”, ci mettiamo il cuore e la mente. Pure stare tanto in zazen fa venire male alle gam- be. Però deve diventare quel male che può piacere sapen- do che si sta facendo ciò che si vuole fare. Non ci dovrebbe es- sere l’affanno di stabilire sem- pre delle regole. Come nell’ar- cobaleno si passa da un colore all’altro, e il passaggio non è re- pentino, perché non è che tra il rosso e l’arancione ci sia un confine netto, non si può dire che fin qui è rosso poi da qui è arancione. Quel colore sbiadi- sce a mano a mano e da rosso acceso diventa arancione. Nel- la meditazione non si dovrebbe avere una presa rigida, com’è l’esempio di tenere un uccel- lino nella mano: se stringi, lo fai morire, se allenti la presa, scappa. Attenti perciò alla rigi- dezza di stringere a morte l’uc- cellino e alla completa rilassa- tezza che lo fa volar via. • n. 41 - Settembre 2013 NEWS
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