Shiatsu News 39 marzo 2013

n. 39 - Marzo 2013 NEWS infatti che Pietro da Morrone incontra i Templari, soggiornando per due mesi in una loro magione che poi diverrà con- vento celestiniano. Sotto lo stesso tetto, c’era il gran maestro Giacomo di Bejau. Probabilmente furono gli stessi Cavalie- ri Templari ad introdurre Pietro da Mor- rone al Papa Gregorio X che rimase così ammaliato dalla spiritualità dell’eremi- ta da concedergli la Bolla di conferma dell’Ordine 46 giorni prima che il Conci- lio iniziasse. E sembra che fu proprio in quest’occasione che i Templari strinsero un forte rapporto di fiducia con il futuro Papa Celestino V, un rapporto tale che li convinse ad affidare a lui la custodia di un tesoro unico per il quale un tempo era stata costruita persino una città. Duran- te il suo rientro da Lione, lo stesso Pietro da Morrone racconta di aver incontrato un cavaliere, un angelo che lo avrebbe protetto. In un raro affresco, interdetto al pubblico nella Basilica di Collemaggio, compaiono proprio Celestino e l’angelo, con uno stemma, la croce rossa dei Tem- plari. Sulla via del ritorno dalla Francia, nel luglio 1274 Pietro si ferma a l’Aquila. Durante un sonno ristoratore racconta di aver visto La Madonna la quale, in segno di riconoscimento per le grazie ricevute a Lione, gli chiede di costruire, proprio lì a l’Aquila, un Santuario a lei dedicato. Pietro contatta allora subito il vescovo de l’Aquila, Niccolò da Sinistro per la costruzione di un monastero e di un imponente abbazia. Forse il sogno della Madonna è solo una leggenda, ma sta di fatto che in poco tempo Pietro tro- va le risorse e i progetti per edificare la propria basilica. I colori bianco e rosso della facciata, come quelli della fontana della 99 cannelle (il più antico monu- mento della città de L’Aquila, attribuita a Nicola da Pentima), sono di chiara fog- gia Templare e, si dice, che l’intera città de L’Aquila sia nata da un progetto di questa confraternita, il cui vero compito andava ben oltre la protezione dei pel- legrini europei giunti in Terra Santa e consisteva nel dedicarsi alla ricerca dei tesori del Tempio di Gerusalemme, reli- quie dai poteri immensi, andate perdute nel corso dei secoli. è in questo modo che i Templari entrarono in possesso di oggetti e documenti importanti, che si impegnarono a custodire e tramandare in segreto. • 18 Che iniziò a comporre intorno al 3 d.C. e si sviluppano in 15 libri di esame- tri (unica opera, nella sua produzione, scritta in questi versi), contenenti circa 250 miti uniti tra loro dal tema della trasformazione: uomini o creature del mito si mutano in parti della natura, ani- mata e inanimata. Opera in apparenza disorganica e “barocca”, frutto quasi di un’obbedienza eccessiva alle norme del- la “varietas”, le “Metamorfosi” rivelano invero la loro unità nella concezione di una natura animata, fatta di miti divenu- ti materia vivente, partecipe di un tutto che si trasforma: una natura intesa come archivio fremente di storie trascorse, ove è possibile avvertire la presenza di una creatura mitica in un albero, in una fon- te, in un sasso. La natura ovidiana appa- re percorsa dai fremiti arcani delle tante creature d’amore e di dolore che essa cela nel suo grembo. è qui che il mondo di Ovidio, così in apparenza legato alle forme e alle superfici, ai suoni e ai colori, rivela dimensioni insospettate. Sì, certo, in Ovidio il mito, oltre che umanizzarsi, si atteggia a splendida favola, ad affre- sco fastoso (gli dèi e gli eroi, scompar- sa ogni motivazione religiosa del mito, servono solo ad alimentare la sfarzosa immaginazione del poeta); e tuttavia, specie in alcuni casi, il brillante gioco delle superfici s’accompagna, in singo - lare simbiosi, a una sensibilità inquieta di creature tormentate, che trovano nel trasformarsi l’unica via d’uscita a una situazione impossibile, a una passione assurda: nel divenire altra cosa rispetto a una realtà divenuta umanamente in- tollerabile, esse ritrovano finalmente il loro riscatto. • 19 I giapponesi raccontavano storie sui Kappa, un popolo mitologico di anfibi umanoidi. Da: http://it.wikipedia.org/ wiki/File:Kappa_jap_myth.jpg. • 20 Gli Aborigeni d’Australia credono che il mondo sia stato creato da Kurri- chalpongo, un grande serpente sovran- naturale. Dalle sue uova sarebbero nate lemontagne, gli alberi e gli animali. Sem- pre gli Aborigeni venerano il serpente arcobaleno, che collega il cielo alla terra, ed è il guardiano dell’acqua, che distri- buisce, rappresentando la fertilità della terra e dell’uomo. In Africa ritroviamo delle credenze simili, dove il serpente è legato all’arcobaleno e di conseguenza alla fertilità portata dalla pioggia. Al- cuni popoli d’Africa considerano il ser- pente un antenato comune a tutta la loro etnia, e vi consacrano un tempio. Alcune sacerdotesse si occupano di nutrire e cu- rare i serpenti ospiti di queste strutture, in modo da avere in cambio protezione per tutta la comunità. Curiosamente, molte di queste credenze si sono evolute in modo parallelo in punti opposti del globo, e molte di queste credenze ance- strali sono poi state riprese dalle religio- ni più recenti. Nell’Antico Egitto la dea naja Ejo proteggeva la zona del delta del Nilo e garantiva la sovranità del Fara- one. Non a caso, sulla corona di questi ultimi, veniva rappresentata sotto forma di ureo, un cobra (Naja) dal cappuccio aperto che proteggeva il Sole ed il Fara- one con il suo respiro infuocato. In Me- sopotamia, l’Eufrate veniva identificato ad un serpente maschio. Una leggenda babilonese racconta delle avventure di Gilgamesh che raccolse, nel mondo dei morti, l’erba d’immortalità per riportar- la nel paese dei vivi. L’eroe babilonese si fece rubare l’erba dal serpente che di- venne immortale a dispetto dell’uomo. L’immortalità del serpente, ispirata al fatto che “cambi” pelle periodicamen- te, è comune a numerose culture. Ad esempio per gli Aztechi il serpente era il dio inventore del calendario, simbolo di morte e di rinascita. I Toltechi e gli Aztechi consideravano Quetzalcoatl, il Serpente piumato, un dio che abbando- nò il proprio popolo per vagare verso l’eternità. • 21 La figura dei rettiloidi potrebbe ri - spondere a quella che avrebbero po- tuto assumere creature delle specie di vari dinosauri se non si fossero estinti e avessero potuto evolvere sino ai giorni nostri. L’ipotesi potrebbe non essere così inverosimile. Nel Museo di Toronto, in Canada, esistono delle ricostruzioni os- see di piccoli sauri dell’altezza di circa tre metri, con cinque “dita” dei piedi e delle mani. Nelle dita delle mani è com- preso il pollice, allineato alle altre dita e quindi con funzioni prensili e adatte alla manipolazione di oggetti. Tuttavia la figura dei rettiloidi non rappresenta un’iconografia nata nell’era moderna e basata sulla suggestione di quanto pos- siamo sapere sulle antiche specie dei sauri che hanno popolato per milioni di anni il nostro pianeta. Creature di fattez- ze rettiloidi antropomorfe, infatti, era- no già conosciute nel lontano passato e sono riportate nei miti e nelle tradizioni di molti popoli. Possiamo citare le pri- me raffigurazioni di Zeus, re di tutti gli Dei dell’Olimpo della Grecia Antica, che lo mostrano in un’effigie di un serpente antropomorfo. Il primo re mitico di Ate- ne, Cecrope, era mezzo uomo e mezzo serpente. Nella mitologia greca i Titani e i Giganti avevano servitori serpenti e tal- volta i Giganti stessi erano raffigurati in forma “anguiforme”, ossia con le gambe formate da terminazioni serpentiformi, come il gigante Klyteros, raffigurato nel bassorilievo del fregio della Gigantoma- chia sull’Altare di Pergamo. Presso gli antichi Celti la figura del Drago imper - sonava quella del mitico Odino e di tutti gli altri Asi, gli dei di Asgard. Nella tra- dizione nordica viene attribuita a Odi- no la creazione del primo uomo e della prima donna che egli pone in Midgard, la Terra di Mezzo, dominata dal grande albero che cresce al suo centro. Nella cultura celtica, il druido, lo sciamano fi - losofo e guerriero, era rappresentato con l’iconografia del Drago. Fetonte, il por - tatore di conoscenza delle antiche tra- dizioni europee, era anch’esso associato alla figura del drago-serpente. • 22 Di essi si parla nel “Primo libro di Enoc” che è un apocrifo dell’Antico Te- stamento, non compreso nella Bibbia Ebraica, che non fa parte della Bibbia in greco detta dei LXX (Septuaginta) e non è parte, almeno oggi, neppure della Bib- bia cristiana. Vedi: http://www.comunitacristiana. org/temi/Dio/Elohim/Elohim_Ser- ni.pdf. Vedi anche: http://www.fuo- cosacro.com/pagine/cabala/La%20 cabal%C3%A0.pdf. Nella tradizione biblica gli Elohim, ovvero gli dei che crearono il primo uomo, sono raffigu - rati con la sembianza di serpenti antro- pomorfi. Lo stesso serpente che dona la conoscenza ad Adamo e Eva possiede un attributo antropomorfo che perderà per la punizione divina dovuta al suo gesto. La Chiesa attribuirà al serpente, ovvero implicitamente al drago a cui viene associato per una similitudine di 14

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