Shiatsu News 37 settembre 2012
21 n. 37 - Settembre 2012 NEWS re con una dimensione archetipi- ca dell’inconscio , che è transcul- turale. La parte del l’I Ching che riflette di più una mente spe- cificamente cinese è, per me, soggettivamente, la meno inte- ressante. Anzi, secondo me, ab- biamo bisogno di ricomprender- lo e riconsiderarlo nella nostra realtà, perché il Libro stesso si è evoluto nel corso del tempo. Chi è oggi il “discepolo della saggezza”? Abbiamo scelto di tradurre così il temine cinese junzi che sareb- be letteralmente “il figlio del capo”. Una traduzione più libe- ra è “il nobile”, che viene reso anche come “il grande uomo”. Noi lo abbiamo reso, piuttosto liberamente, con “il discepolo della saggezza”. Di solito Ru- dolf e io non siamo stati inve- ce molto liberi nella traduzio- ne, però in questo caso abbiamo fatto questa scelta perché, lavo- rando con l’I Ching, il più delle volte il riferimento non è a qual- cuno che sta di fuori, un “gran- de uomo”, ma è in noi stessi. Nel momento in cui ci mettia- mo ad usare il Libro alla ricer- ca di saggezza, siamo “discepo- li della saggezza” . E quindi, cosa consigliare a chi si avvicina per la prima volta all’I Ching, visto che non è cer- to un testo semplice? Il consiglio che darei è di presta- re molta fiducia alle sensazioni e alle intuizioni. I cinesi usavano l’espressione “rotolare le parole nel cuore” . È vero che il cuore, per i cinesi, comprende anche la mente, però si tratta di “rotolar- le” non di analizzarle. Ha un po’ il senso dell’atte- sa: leggere, ascoltare den- tro di sé come risuona e sa- per aspettare che ci sia una risposta interiore. Sì. Si tratta di accogliere ciò che risuona, positivamente o ne- gativamente. È utile porre l’at- tenzione su ciò che ti colpisce. Conviene lasciare da parte, per il momento, ciò che non ha nes- suna risonanza né in positivo, né in negativo, per poi ritornar- ci eventualmente in un secondo momento. C’è per esempio una mia amica che lo leggeva delle volte addirittura saltando del- le parole. A me veniva da dirle che saltando delle parole il sen- so della frase cambia. Però lei ne traeva un messaggio e un inse- gnamento in maniera perfetta. Mi rincuora perché io ho l’abi- tudine di leggere i libri dalla fine verso l’inizio, un po’ alla giapponese, pur essendo oc- cidentale. Del restol’ultimoesagrammadell’I Ching è “non ancora guadare”. Dato che ci sono molte edi- zioni del Libro dei Mu- tamenti, partendo dal- la più famosa che è quella curata da Wil- helm, secondo te quali sono le migliori? Io continuo ad ama- re la traduzione di Wil- helm (Richard Wilhelm, I Ching, Il Libro dei Muta- menti , ed. Adelphi), che è la prima che io, e pen- so la maggior parte di noi, abbiamo incontra- to ed ha dei grandi pre- gi. Ha anche i suoi limiti. Ha anche delle idiosin- crasie wilhelmiane o cri- stiane e, secondo me, anche il la- voro che lui ha fatto con il suo maestro neo-confuciano, gliene ha dato una lettura in cui l’or- todossia sociale cinese era ab- bastanza forte. Nell’I Ching di Eranos la nostra intenzione era di dare qualche cosa che per- mettesse al lettore di avvicinar- si il più possibile al testo cinese. È da tanto tempo che uso prin- cipalmente queste due versio- ni. Apprezzo molto anche il la- voro di Javary (Cyrille Javary e Pierre Faure, Yi Jing, le Livre des Changements , ed. Albin Michel) e consiglierei la sua versione. Fra l’altro la loro rivista “Hexa- gramme” ha dei commenti inte- ressanti. Rispetto al rigore filolo- gico degli studi moderni alcune cose sono abbastanza fantasiose, però utili. Sulla correttezza della traduzione gli do credito, però a volte lui accoglie la leggenda ci- nese come se fosse un dato di fatto, mentre gli studiosi moder- ni a volte dubitano di alcune di queste storie, anche se in qual- che modo fanno parte dell’aura del testo e quindi ne ampliano il campo immaginifico. Che impressione ti sei fatto sul nostro convegno visto che noi trattiamo ciò che è cine- se o giapponese, ma dal pun- to di vista concreto attraverso lo Shiatsu, mentre invece il Li- bro dei Mutamenti è un libro di saggezza. Intanto mi è piaciuto molto que- sta grande stanza congressua- le piena di materassini per terra che creano un ambiente molto gradevole, famigliare e caldo. Di primo acchito mi sono chie- sto “cosa ci faccio qua?”, però poi ho sentito una comunanza di domande di fondo. Unacuriositàpersonale: il nome Shantena da dove deriva? È indiano. Per diversi anni sono stato con Osho a Puna. Lui mi ha dato questo nome e me lo sono tenuto, anche se i tempi di Osho sono lontani. •
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