Shiatsu News 29 settembre 2010

Ecco finalmente la montagna, così familiare nella nostra scuola. Ma nell’Hekigan roku, come in tanti altri testi, i ma- estri le nominano sovente e i monasteri venivano normal- mente costruiti sulle monta- gne. Il koan potrebbe essere espresso in molti altri modi: “Com’é quando si vince la medaglia d’oro alle olimpia- di? E quando si prende la lau- rea?”. Un bambino potrebbe chiedere: “Com’é quando si arriva a vent’anni? E quando si diventa vecchio?”. Le domande, da parte di chi non é ancora arrivato, e forse mai arriverà a certi risulta- ti, possono essere innume- revoli. Però, ogni essere, in cima a qualche montagna, geograficamente o metafori- camente parlando, é sicura- mente arrivato. Così dovendo rispondere a chi chiede com’é quando si raggiunge quella determinata meta, ossia un punto d’arrivo della propria esistenza, bisogna pensarci bene, altrimenti si potrebbero facilmente dire delle banali- tà. Sembra che il maestro se la cavi elegantemente, ma la voce che s’inserisce mette in dubbio che egli sia veramen- te arrivato in cima. Certo, chi va a tenere una conferenza sulla scalata dell’Everest o del monte Bianco é indubbio che abbia le prove che in cima c’é arrivato. Ma la domanda vera rivolta a un maestro é: “Com’é quando si fa l’illumi- nazione?”. Cioè, raggiungere il punto più alto per un es- sere umano? Almeno riferito all’insegnamento della nostra Koan, Bukkosan roku La primavera nella “tradizione”, caso n° 6 A cura di Fabrizio Bonanomi KOAN 30 Per i praticanti di arti e discipline estremo orientali è tappa d’obbligo fare esperienza di “vuoto”, su cui il Maestro esorta il discepolo in ogni dove. Il tempo dedicato e le metodiche adottate per questa “ricerca-viaggio interiore” è assolutamente personale e discrezio- nale per ciascuno. Tuttavia nella Tradizione esistono diverse proposte di metodo, per poter seguire un “percorso” senza il quale ci si potrebbe “perdere”. Una di queste si chiama Zen e in alcune scuole si adotta la pratica dei “Koan”. Koan letteralmente significa “caso pubblico”, sono domande paradossali che il Maestro dà al discepolo, hanno lo scopo di renderlo capace di vivere l’arte della vita , nella tensione ultima alla comprensione delle cose, un sentiero verso l’illuminazione. Diviene inevitabilmente una sorta di lega- me fra maestro e discepolo. Per portare qualche esempio, i koan “kensho”, più conosciuti nella tradizione, sono fondamentalmente tre: il più antico è “Il ( tuo ) vero volto prima che nascessero i ( tuoi ) genitori” di Hui-Neng; poi il “MU” ( il suono del vuoto ) di Joshu, e terzo il “( battendo le mani si ha un suono, qual è il ) Suono di una mano sola” di Hakuin. Qualche anno fa un maestro contemporaneo, italiano, Engaku Taino, affondando le radici nella Tradizione ha elaborato una interes- sante nuova rassegna di Koan che, con il consenso del Maestro, siamo onorati di proporre come rubrica periodica su queste pagine, usando gli stessi suoi scritti. Buona riflessione 3 luglio 2003 Caso n° 6 Arrivare in vetta Durante una conferenza (c’è chi è disposto a pagare per stare due ore ad ascoltare frescacce) una ragazza chiese: “Com’è quando si arriva in cima ad una montagna? (ma se la maggioranza delle persone non sa nemmeno perché si comincia a camminare) ” Il maestro (danno per scontato che ci sia arrivato: sarà vero?) : “Se è chiaro (e se c’è la nebbia?) si vede ad est, ad ovest, a sud e a nord (a forza di guardarsi in torno potrebbe venire il torcicollo) “. Se credi a chi dice di vedere meglio potresti perdere per sempre la vista. Se apri i tuoi occhi, a ogni passo sarà come vedere dalla cima della montagna.

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